” [...] Smaterializzarne il concetto, tra analogia e sacralizzazione, oltre l’impedimento stesso – visivo e fisico – che la catena montuosa rappresenta, sorvolando l’invalicabilità della sua quotidiana e silenziosa ed eterna persistenza nello spazio visivo di chi, fin dalla nascita, ne subisce l’imponenza, equivale ad accettare la sfida di superare la propria impotente finitezza nella metafisica dell’ascesa, una scelta filosofica ancora più mirata e significativa di qualsiasi viaggio sensoriale limitato alle superfici di ghiaccio e alle alte cime [...]“.
(da testo critico Annamaria Gelmi | La montagna negata, a cura di Gaetano Salerno)