” [...] Nella metafora perciò del cambiamento, nella metamorfosi che tramuta il legno in carbone e umanizza l’essere deificato (ponendolo a cospetto della propria inadeguatezza, della propria evocativa “immobilità), emerge la morale di questa narrazione visiva, per voce dell’animale come nelle fabulae greche antiche, a ricordarci la natura transitoria delle cose e il loro naturale e inoppugnabile cambiamento.
La ricerca si arricchisce inoltre di una produzione di carte lavorate a cenere e carboncino attraverso le quali l’artista pianifica visivamente la decostruzione e ricostruzione del soggetto cavallo, accompagnandolo nel calvario apotropaico della dolorosa conversione al tuttotondo; in una sorta d’iter progettuale e procedurale il cavallo evidenzia – unica figura efficacemente delineata in un mondo pittorico in disfacimento, ottenuto dall’interseco centrifugo di linee caotiche, dalle sovrapposizioni di masse materiche monocromatiche che sconvolgono gli sfondi – l’inganno del quale sarà vittima una volta conquistata la definitiva e apparentemente rassicurante forma plastica.
Uno storyboard scandito da serrati primi e primissimi piani che tracciano la drammatica esistenza dell’essere (ancorato all’impossibilità di fuga dalla bidimensionalità), ora privato delle gambe, ora limitato da legacci, ora stramazzato al suolo, attraverso una sequenziale presa di coscienza della propria prigionia e di esasperata ma vana ricerca di efficaci soluzioni [...]“.
(da testo critico Antonio Giancaterino | L’inganno, a cura di Gaetano Salerno)